Il Codice della Giustizia Sportiva del CONI dispone, all’art. 54, comma 2, che “Hanno facoltà di proporre ricorso le parti nei confronti delle quali è stata pronunciata la decisione nonché la Procura Generale dello Sport”, nonché all’art. 6, comma 1, che“Spetta ai tesserati, agli affiliati e agli altri soggetti legittimati da ciascuna Federazione il diritto di agire innanzi agli organi di giustizia per la tutela dei diritti e degli interessi loro riconosciuti all’ordinamento sportivo”.

Tali norme delimitano l’ambito dei soggetti legittimati ad adire gli Organi di Giustizia Sportiva, riservando il relativo diritto ai tesserati (e agli affiliati) che dell’ordinamento sportivo fanno parte, nonché agli altri soggetti legittimati da ciascuna Federazione.

La giurisprudenza del Collegio di Garanzia dello Sport, è giunta ad affermare che “l’accesso alla Giustizia Sportiva è riservato esclusivamente ai tesserati, ed anche nel caso in cui il rapporto con le Federazioni sia cessato medio – tempore, venendo meno il “compromesso” che vincola al rispetto della giurisdizione endofederale chi non è più tesserato” (Collegio di Garanzia dello Sport, sez. I, 17 luglio 2015, n. 26).

Le ragioni alla base dell’affermazione di principio risultano chiare dalla lettura di questo breve passaggio motivazionale, in cui si sottolinea che, venuto meno il tesseramento, viene meno anche il “compromesso” che vincola al rispetto delle decisioni degli Organi di Giustizia Sportiva.

Da tale affermazione si desume anche che, ai fini dell’accesso alla Giustizia Sportiva, la cessazione del rapporto con la Federazione è rilevante anche se si sia verificata “medio – tempore” e, quindi, anche nel corso del giudizio. Ciò, del resto, in aderenza al principio di carattere generale secondo cui le condizioni dell’azione devono sussistere al momento della proposizione della domanda e persistere fino al momento della decisione (Collegio di Garanzia dello Sport, Sezioni Unite, 3 settembre 2015, n. 39).

La norma stessa, tuttavia, non pare escludere in maniera assoluta la legittimazione di altri soggetti. Questo non solo e non tanto per il riferimento agli “altri soggetti” che possono essere “legittimati” per il loro rapporto con l’ordinamento sportivo, quanto piuttosto per la considerazione che un’interpretazione estensiva della norma potrebbe apparire possibile (o necessaria) in alcune ipotesi.

Una di queste ipotesi, secondo la decisione in commento, potrebbe essere quella del procedimento disciplinare.

È un principio generalmente riconosciuto (e affermato anche dal Collegio di Garanzia) quello secondo cui l’incolpato non può sfuggire alle proprie responsabilità rinunciando al tesseramento dopo aver commesso il fatto da sanzionare o nel corso del procedimento disciplinare.

Discorso diverso è quello della legittimazione attiva alla proposizione dei mezzi di impugnazione.

Il disconoscimento di tale legittimazione potrebbe apparire in contrasto con il fatto che l’incolpato stesso è sicuramente legittimato (come soggetto passivo) a partecipare al giudizio disciplinare e può essere sanzionato per la condotta che ha avuto quando era tesserato.

Non appare, infatti, coerente con i principi generali distinguere le due posizioni soggettive e riconoscere al soggetto non più tesserato la legittimazione a stare in giudizio nella qualità di soggetto incolpato o, eventualmente (in appello), di soggetto vittorioso che ha subito l’impugnazione proposta dall’organo requirente e viceversa negare la sua legittimazione a proporre mezzi di impugnazione avverso una sanzione comminata all’esito di un giudizio
disciplinare.

D’altra parte, l’asimmetria di posizioni che può derivare dall’accoglimento della tesi del difetto di legittimazione a proporre impugnazioni potrebbe risultare non in linea con i principi di parità delle parti, del contraddittorio e del giusto processo, solennemente richiamati dall’art. 2, comma 2, del Codice della Giustizia Sportiva del CONI.

È vero che il comma 1 dello stesso art. 2 del Codice ora menzionato parrebbe riservare la piena tutela dei diritti e degli interessi ai tesserati, agli affiliati e agli altri soggetti riconosciuti dall’ordinamento sportivo, ma ciò non importa necessariamente la limitazione del diritto di difesa e del principio di parità delle armi tra le parti del giudizio che è tra le basi del giusto processo.

Quanto ora rilevato ha indotto il Collegio, pertanto, a ritenere dubbia la possibilità di considerare in modo tassativo il principio, già affermato da questo Collegio di Garanzia, secondo cui l’accesso alla Giustizia Sportiva è riservato esclusivamente ai tesserati; apparendo dubbio che potesse disconoscersi la legittimazione del ricorrente a reagire contro la decisione che ha disposto l’applicazione di una sanzione nei suoi confronti.

Ciò premesso riguardo alla legittimazione ad agire, il Collegio ha osservato che, se si dovesse riconoscere la legittimazione dell’allora ricorrente, per sua stessa volontà non più tesserato, dovrebbe necessariamente ammettersi anche la sussistenza dell’interesse a ricorrere, sia per la lesione che deriva dall’applicazione della sanzione sul piano anche solo morale (sulla rilevanza dell’interesse morale ai fini dell’interesse a ricorrere vi è copiosa giurisprudenza amministrativa; tra le tante, Consiglio di Stato, sez. V, 2 febbraio 2012, n. 538), sia, soprattutto, in quanto l’applicazione della sanzione ha specifiche conseguenze nella sfera del tesserato che non abbia rinnovato il tesseramento, sottraendosi all’applicazione delle sanzioni.

Deve essere rimessa alle Sezione Unite la questione sulla legittimazione attiva alla proposizione dei mezzi di impugnazione dinnanzi agli organi di Giustizia Sportiva da parte del soggetto incolpato e sanzionato in un procedimento disciplinare il cui tesseramento sia, tuttavia, venuto meno medio tempore.

Di Alessandro Valerio De Silva Vitolo

Avv. Alessandro Valerio De Silva Vitolo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *