In questi giorni difficili si parla poco di calcio giocato ma si parla comunque tantissimo di calcio. L’emergenza coronavirus sta mettendo alla prova l’intero sistema economico del nostro Paese. Con ItaliaCamp, organizzazione che si occupa tra le altre cose di valutazioni dell’impatto socio-economico in diversi settori, abbiamo provato a stimare gli effetti di questa crisi sul mondo del calcio tout court.

La valutazione si fonda su un’innovativa metodologia di analisi strategica che considera, oltre alle tradizionali metriche economico-finanziarie, anche indicatori di performance che misurano l’impatto di una attività anche in chiave economica, sociale, occupazionale, ambientale e culturale.La “riduzione a normalità” del calcio non vuole essere una presa di posizione politica ma è una scelta funzionale per effettuare analisi di mercato quanto più corrispondenti alla realtà dei fatti e dei numeri espressi da un movimento capace di generare impatti economici, diretti e indiretti, per 6 miliardi di euro nel 2018 (Rapporto PWC). Partire da queste considerazioni impone di guardare con attenzione ai diversi mondi che compongono il sistema calcio in Italia. Trascurare per esempio il ruolo sociale delle serie minori che fanno capo alla LND sarebbe un errore capitale perché rischieremmo di raccogliere nei prossimi mesi/anni impatti devastanti sul piano sociale (abbandono scolastico, scuole calcio, aumento della devianza minorile, posti di lavoro), tutti temi che devono essere correttamente valutati per offrire ai policy makers strumenti di approfondimento. Il giro d’affari(2,1 miliardi secondo stime LND) e la sopravvivenza di migliaia di società sparse su tutto il territorio nazionale meritano un segnale perché il rischio di perdere il 30% delle società attualmente iscritte è realistico.

La Lega Pro rappresenta in questo disegno una cinghia di trasmissione molto delicata nel raccordo tra calcio dilettantistico e calcio professionistico: ItaliaCamp ha stimato l’impatto economico generato dalla sola Lega Pro in 580 mln/anno in termini di benefici generato per stakeholder, territori e comunità, mostrando una fotografia di ciò che oggi questa storica istituzione rappresenta.

Un discorso ancora diverso riguarda la Serie B, che per numeri e ambizioni guarda a quanto accade in Serie A con attenzione: in questo caso il giro d’affari e l’impatto sociale generato dalla Serie B – 20 città in rappresentanza di 12 regioni italiane nella stagione ancora in corso, con forte rappresentanza delle piazze meridionali – impone una riflessione e una strategia di recupero che sia improntata a salvaguardare sostenibilità e tenuta del campionato come modello dello sviluppo simbiotico che esiste nel nostro Paese tra una squadra di calcio e il tessuto sociale che rappresenta.Direttore, infine, quando si parla di sistema calcio crediamo che tutte le sue dimensioni debbano essere messe sul tavolo della discussione per consentire ai policy makers e a tutte le parti in causa di costruire soluzioni adeguate e a geometria variabile, anche e magari in un’ottica solidaristica. In questo senso la proposta di lavorare sul recupero dell’1% delle quote derivanti dalle scommesse sportive pare essere – nella logica di analisi finora adottata – uno strumento funzionale.

Solo con proposte di sistema, la piattaforma sociale che il calcio intende essere potrà dimostrarsi un agente attivo nel difficile percorso che il Paese dovrà affrontare per ripartire. Ognuno dovrà fare la sua parte, anche cambiando il modo tradizionale con cui sono state fatte le cose finora. Anche il nostro calcio.

Dott. P. Cisotta – Presidente di ItaliaCamp (www.italiacamp.com)

Avv. G. Stendardo – Avvocato esperto di diritto sportivo

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